martedì 21 giugno 2016

La danzatrice bambina (A. Flacco)

Non è un romanzo. E' una storia vera.
Zubaida non è una bambina frutto della fantasia di un autore. E' una bambina. Ora è più grande ma all'epoca dei fatti era una bambina e tutto ciò che le è capitato mi ha fatto rabbrividire.
Quanto dolore, quanto smarrimento e quanta forza deve aver provato quella povera creatura ridotta in un tizzone ardente a seguito di un incidente quanto aveva poco meno dell'età di mia figlia!
Quanta paura deve aver avuto quella creatura quando ha capito che il fuoco la stava divorando. 

Ho preso La danzatrice bambina in biblioteca, in presto, senza voler conoscere nulla della trama. Mi piaceva quella bambina con quegli occhioni scuri in copertina e l'ho messo assieme ad altri due sul tavolo del bibliotecario. Prestito registrato e arrivederci.

Ho letto gli altri due e questo era rimasto lì, ad attendermi.

Ero stata attirata dal titolo, lo ammetto, perchè utile per partecipare alla Challenge Le Lgs sfidano i lettori
Poi quegli occhini mi hanno dato il colpo di grazia. 
Avevo pensato di usarla come lettura adatta per l'obiettivo che prevedeva un libro con un mestiere del titolo ma poi mi sono resa conto che si tratta di un libro premiato, con il Premio Selezione Bancarella 2007 ed ho deciso di usarlo per questo, di obiettivo. Merita proprio che venga sottolineato che ha vinto un premio. Davvero lo merita. Ed ho cercato a tutti i costi di terminare la lettura in tempo per proporlo come ultimo libro della tappa di Daniela perchè, davvero, non è un libro che non lascia indifferenti e invita ad ampie riflessioni.

Come dice l'autore nei ringraziamenti, in questa storia, il cattivo è la tanica di liquido infiammabile che scoppia ai piedi di una splendida bambina che ama la musica, cantare e danzare. 
Tutti gli altri, tutti coloro che incontreranno questa bambina da quel tragico momento in avanti, sono persone che le hanno dedicato tempo ed amore, attenzioni ed impegno. Dottori e non solo, spinti da doveri professionali ma, soprattutto, da una profonda umanità.

Quando Zubaida (o quel che resta di lei) viene presa in braccio da suo padre per cercare aiuto, per salvarle la vita che si sta lentamente spegnendo, inizia per lei un lungo calvario. Non viene lasciata morire - la cultura di quel posto (vive in un piccolo villaggio dell'Afghanistan) non mette sullo stesso piano la vita di una bambina con quella di un bambino maschio - ma si lotta per la sua vita. 
Il primo a lottare è suo padre che mette a repentaglio ogni equilibrio familiare e sociale pur di dare a sua figlia un futuro. 
Lotta lei, con quei suoi occhioni vigili ed attenti seppur imprigionata in un corpo che non può più essere chiamato tale, tante sono le trasformazioni che il fuoco ha provocato. Lotta con tutte le sue forze anche quando il dolore la sovrasta, la opprime, la annulla.
La tenacia di suo padre crea le condizioni per un miracolo. Lui, un musulmano, si trova a chiedere aiuto agli Altri, ai nemici, per salvare la vita di sua figlia. Per di più, in un periodo storico in cui gli equilibri tra Nazioni sono messi a dura prova da tragici eventi. La storia di Zubaida inizia nel 2001, quando ha nove anni e mezzo. 
All'incirca nello stesso periodo in cui Zubaida si ustionò, arrivarono negli Stati Uniti gli ultimi membri del gruppo di diciannove kamikaze islamici e iniziarono il loro training finale in vista dell'attacco dell'11 settembre.
E' questo il contesto in cui Mohammed Hasan, suo padre (un musulmano che non condivideva affatto il fanatismo dei fondamentalisti) va a chiedere aiuto a medici di un piccolo insediamento militare statunitense. Sa di correre un grande rischio, sono passati alcuni mesi dal tragico incidente di sua figlia e nessuno è stato capace di aiutarla. Prova il tutto per tutto.

Qui accade l'inimmaginabile. Seppur consapevole di come musulmano venisse abbinato a terrorista, a kamikaze, Hasan non si perde d'animo e tenta il tutto per tutto. 
Ha fortuna.
Il soldato che li incontra sarà l'aggancio di Zubaida con il suo futuro. Un futuro di vita, non di morte.
  
Guardò di nuovo Zubaida. Oltre quel corpo esile e quell'espressione ferita, (il soldato) lesse un lampo di orgoglio che testimoniava la sua voglia di vivere. Capì che non sarebbe riuscito ad andarsene abbandonando la piccola al suo destino. "Venite con me" disse, prendendo l'uomo per il braccio e, contravvenendo agli ordini, gli fece cenno di seguirlo. Anche se gli fosse costato una promozione o un periodo in cella di rigore, non se la sentiva proprio di voltare le spalle al bagliore di vita che avevano gli occhi di quella bambina.
Da questo momento in avanti, da questo incontro passando per tutti quelli che verranno, quell'anonima bambina di un villaggio dimenticato da Dio e dal mondo, diventerà un caso.
Solidarietà, altruismo e un susseguirsi di emozioni faranno da cornice ad un lungo periodo di sofferenza ma anche di speranza per quella bambina. Sola, in un Paese straniero (e, secondo il sentire comune, nemico), sempre più lontana dai suoi affetti, a contatto con una cultura nuova e strana per lei,  Zubaida farà i conti con la sofferenza del corpo e dello spirito prima di trovare un equilibrio. E prima di poter anche solo immaginare di tornare a danzare.

E' un libro che consiglio caldamente. La prima persona a cui lo consiglierò sarà mia madre, che ama le storie vere ed è molto sensibile su questo fronte. Sono contenta di aver conosciuto la storia di questa bambina: mi ha fatto soffrire, commuovere, riflettere. Mi ha fatto capire quanto possano essere diverse le culture di diverse parti del mondo ma anche quanto l'umanità, la solidarietà e l'amore possano essere potenti, senza muri e senza barriere di sorta. Su tutto, la grande voglia di vivere di una bambina che non ha nessuna intenzione di arrendersi. Mai.

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